Vini IGP qualificati con il nome della varietà di vite.
Limiti alla possibilità di “taglio” con altri vini.
Con la sentenza 3 maggio 2018, n. 151, il T.A.R. Abruzzo – Pescara è intervenuto sul delicato tema del “taglio” dei vini IGP “varietali”, precisando i limiti entro i quali possono essere utilizzati, nell’assemblaggio, vini ottenuti da uve di varietà diversa da quella indicata in etichetta.
SULL’OGGETTO DEL CONTENZIOSO.
La controversia nasceva a seguito dei provvedimenti con i quali l’Organismo di controllo di una denominazione IGP contestava le “non conformità gravi” di alcune partite di vino, disponendone di conseguenza il declassamento.
Ciò, in quanto nel prodotto finito veniva riscontrata una “percentuale del solo 72% della varietà proveniente dall’areale di produzione e non dell’85% come previsto dalla Regolamento Ce 607/2009 art. 62 par. 1 lett. c punto 1 e dalla circolare Mipaaf del 25.07.2012 n. 16991 par. 3 punto b” (punto 3 della sentenza, I capoverso).
La pronuncia non si sofferma ulteriormente sulle ragioni di tale “non conformità”.
Si può comunque presumere che il vino IGP, recante indicazione della varietà di vite “pinot grigio”, fosse ottenuto a seguito di diversi assemblaggi e, precisamente:
- un primo taglio con uve di altra varietà provenienti dalla zona di produzione IGP, tale da ottenere un prodotto con almeno l’85% di uva “pinot grigio”;
- un secondo taglio con uve di varietà “pinot grigio” provenienti da zone diverse da quella IGP, tale da ottenere un prodotto con almeno l’85% di uva dell’areale IGP.
È da ritenere, quindi, che il risultato finale dei tagli fosse un vino costituito per almeno l’85% da une “pinot grigio” e per almeno l’85% da uve vendemmiate nella zona IGP, nel quale, tuttavia, le uve “pinot grigio” provenienti dalla zona IGP rappresentavano solo il 72% della materia prima.
Il Giudice amministrativo ha definito la vertenza respingendo il ricorso e confermando la legittimità dei provvedimenti impugnati, secondo i quali almeno il vino IGP avrebbe dovuto essere ottenuto con almeno l’85% di uve “pinot grigio” provenienti dalla zona IGP.
Non può che consigliarsi la lettura integrale del testo (allegato in calce), stante l’interesse delle questioni affrontate per la materia del diritto vitivinicolo.
Di seguito, ci si limiterò soltanto ad accennare alle due principali tematiche sviluppate nella sentenza.
SULLA GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO.
In primo luogo, il Tribunale ha riconosciuto la sussistenza della giurisdizione amministrativa sulle domande svolte in causa, in ragione della natura pubblicistica dei provvedimenti resi dall’Organismo di controllo.
Richiamando alcune precedenti prese di posizione dei Giudici amministravi, è stato difatti confermato che gli Organismi di controllo sulle produzioni DOP e IGP, essendo incaricati dal Ministero e soggetti alla vigilanza dell’Autorità pubblica, devono considerarsi come enti privati esercenti pubbliche funzioni.
Ciò premesso, “è evidente che il sistema di controlli affidato all’organismo di certificazione, anche nella parte relativa alla valutazione della conformità o non conformità del prodotto alle caratteristiche prescritte dal disciplinare, è finalisticamente orientato alla tutela di superiori interessi pubblici e precisamente a salvaguardare l’interesse dei consumatori dal non essere ingannati sull’origine, sulle peculiarità e caratteristiche dei prodotti, sulla loro rispettiva connessione con la zona geografica di provenienza, e salvaguarda l’interesse degli imprenditori a concorrere sul mercato in condizioni di parità, e senza incorrere nel rischio di comportamenti che possano in qualche modo inquinare o compromettere la genuinità del marchio” (punto 2.1, penultimo capoverso).
SUI LIMITI AL TAGLIO CON UVE DI VARIETÀ DIVERSA.
Nel merito del ricorso, il T.A.R. Abruzzo ha legittimato la posizione assunta dall’Organismo di controllo, secondo la quale i vini ad IGP, qualora sull’etichetta venga riportato il nome di un vitigno, devono essere ottenuti per almeno l’85% da uve che, oltre ad appartenere a tale varietà, provengano anche dalla zona di produzione IGP.
È stata così confermata l’interpretazione della normativa europea già in precedenza espressa dal Ministero delle Politiche Agricole con circolare esplicativa prot. n. 16991 dd. 25 luglio 2012 (allegata in calce): “conformemente al parere espresso dal Comitato Nazionale per la tutela e la valorizzazione dei vini DO e IGT in data 20 luglio 2011, per i vini a IGT qualificati con il nome di un vitigno le partite di vino – risultanti dal taglio e come tali pronte per l’immissione al consumo – devono essere ottenute per almeno l’85% da uve del corrispondente vitigno prodotte nella zona di produzione delimitata della relativa IGT“.
In realtà, a parere di chi scrive, l’interpretazione offerta dal Giudice abruzzese risulta, quantomeno, opinabile.
Le norme europee di riferimento, infatti, non sembrano condurre a vincoli tanto restrittivi, limitandosi a stabilire quanto segue:
- secondo l’articolo 3, comma 1, lettera b), punto ii) del regolamento (UE) n. 1308/2013, le uve da cui è ottenuto un vino IGP devono provenire per almeno l’85% esclusivamente dalla zona geografica delimitata;
- secondo l’articolo 62, paragrafo 1, lettera c), punto 1 del regolamento (CE) n. 607/2009, “per i prodotti a denominazione di origine protetta o a indicazione geografica protetta o recanti un’indicazione geografica di un paese terzo, i nomi delle varietà di uve da vino o i loro sinonimi possono essere indicati purché: qualora sia nominato solo un vitigno o un suo sinonimo, almeno l’85 % del prodotto sia stato ottenuto da uve di tale varietà”.
Dunque, con riferimento ai vini IGP recanti indicazione del vitigno, per quanto qui rileva, sono previsti esclusivamente i seguenti obblighi:
- da un lato, l’utilizzo di uve provenienti per almeno l’85% dalla zona IGP, con conseguente facoltà di impiegare il 15% di uve da fuori zona;
- d’altro lato, l’obbligo che almeno l’85% del vino sia ricavato da uve della varietà indicata, con conseguente facoltà di “taglio” con vini di uve diverse in misura non superiore al 15%.
In definitiva – diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale di Pescara – dalla disciplina sopra citata non pare emergere alcun divieto specifico all’utilizzo di uve di varietà diversa da quella indicata vendemmiate fuori dalla zona IGP (a condizione che almeno l’85% delle uve complessive impiegate provenga da tale zona).
Stefano Senatore