Nella sentenza “Champagner Sorbet” (resa il  20 dicembre 2017, in causa C-393/16) la Corte di Giustizia ha chiarito a quali condizioni sull’etichetta di un prodotto alimentare  può venire usato il nome della DOP di un suo ingrediente, posizionandolo fuori dal loro semplice elenco (Champagner sorbet etichette-prodotti-alimentari-indicanti-dop-ingredienti).


Secondo la Corte, è legittimo usare sull’etichetta di un prodotto alimentare il nome della DOP di un suo ingrediente, qualora quest’ultimo conferisca al suddetto prodotto una caratteristica essenziale.

In tali circostanze, allora, per la Corte non si configura: né uno sfruttamento abusivo della DOP dell’ingrediente utilizzata sull’etichetta del prodotto alimentare avente siffatte caratteristiche qualitative; né la sussistenza di indicazioni false o ingannevoli sull’etichetta stessa, atte cioè a indurre in errore il consumatore sull’origine geografica del prodotto interessato o riguardanti la natura o le qualità essenziali di tale prodotto.

Il punto critico diviene quindi stabilire quando l’ingrediente DOP conferisce al prodotto alimentare, in cui è incorporato, una caratteristica essenziale,

La Corte ritiene che la quantità di tale ingrediente nella composizione dell’alimento costituisce un criterio importante, ma non sufficiente. La valutazione in questione dipende peraltro dai singoli prodotti interessati e deve essere accompagnata da una valutazione qualitativa.

Per i Giudici di Lussemburgo, dunque, non si tratta di riscontrare nel prodotto alimentare le caratteristiche essenziali dell’ingrediente che beneficia della DOP, bensì di verificare se tale alimento abbia una caratteristica essenziale connessa a tale ingrediente.

Tale caratteristica è costituita spesso dall’aroma e dal gusto che l’ingrediente apporta.

Ciò vale particolarmente quando –  facendo uso del nome della DOP di un suo ingrediente (come nel caso “Champagner Sorbet“) –  la denominazione del prodotto alimentare richiami il suo ingrediente e, quindi, il gusto di quest’ultimo. Di conseguenza, il gusto conferito da tale ingrediente deve costituire la caratteristica essenziale dell’alimento suddetto.

Per contro, se il gusto del prodotto alimentare è determinato in maggior misura dagli altri ingredienti in esso contenuti, viene tratto indebito vantaggio della notorietà della DOP dell’ingrediente.

Spetta comunque al giudice nazionale verificare, alla luce degli elementi di prova prodotti dinanzi al medesimo, se l’alimento (il sorbetto, nella fattispecie) abbia un gusto conferito principalmente dalla presenza nella sua composizione dell’ingrediente recante la DOP (lo champagne).

La sentenza ha significative implicazioni.

La prima. Qualora sussistano le condizioni per usare legittimamente sull’etichetta del prodotto alimentare il nome della DOP di un suo ingrediente, sembra corretto ritenere che ciò possa essere fatto senza la necessità di ricevere alcuna autorizzazione dal consorzio di tutela di detta DOP, come invece dispone il Testo Unico Vino (art.44, comma 9), secondo cui «è consentito l’utilizzo del riferimento a una DOP o IGP nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di prodotti composti, elaborati o trasformati a partire dal relativo vino a DOP o IGP, purché gli utilizzatori del prodotto composto, elaborato o trasformato siano stati autorizzati dal Consorzio di tutela della relativa DOP o IGP riconosciuto ai sensi dell’articolo 41, comma 4. In mancanza del riconoscimento del Consorzio di tutela, la predetta autorizzazione deve essere richiesta al Ministero». Ovvero, volendosi mantenere l’autorizzazione per ragioni di controllo, in simili circostanze essa non può essere negata.

La seconda. Se l’ingrediente DOP non rappresenta invece l’elemento capace di conferire all’alimento una specifica caratteristica organolettica, i consorzi di tutela di tale DOP possono efficacemente opporsi a che quest’ultima venga citata sull’etichettatura dell’alimento stesso.

La terza, rappresentante un corollario della precedente, ma forse non così ovvia. Sussistendo le condizione atte a consentire ai consorzi di tutela di opporsi all’uso della DOP dell’ingrediente, non si vede per quale ragione essi possano comunque autorizzarlo dietro il pagamento di un corrispettivo. In effetti, se il consenso venisse comunque prestato, nonostante l’irrilevanza dell’ingrediente DOP a determinare il gusto dell’alimento che lo contiene, tale condotta creerebbe danno ai consumatori, facendo loro falsamente credere che le peculiari caratteristiche organolettiche dell’alimento dipendano proprio dalla presenza dell’ingrediente DOP “sbandierato” sull’etichetta, invece irrilevante a tal fine.

Avv. Ermenegildo Mario Appiano

 

 

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